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vacanze a perugia

Perugia (Umbria) a è una città con due volti: alla luce del sole è la città d'arte e di cultura, centro fiorente, dove lavorarono artisti del genio di Pinturicchio e Perugino, sede di università note in tutto il mondo, dove ogni anno Umbria Jazz richiama moltitudini di appassionati. L'altro, lunare e sotterraneo, è il volto della città sepolta, delle molte sorprese che un sottosuolo ricco di storia e di vicende grandi e piccole sa ancora parlare. Questa è la parte meno famosa di Perugia, ma non meno attraente dell'altra, quel lato oscurò che i perugini bazzicano con la leggerezza di chi è abituato al bello, e del quale turisti e viaggiatori aprono il fascino con sorpresa quasi infantile.
La città ha saputo ben potenziarto questo aspetto ipogeo, unendo il richiamo del passato con le tecniche del presente. E dunque, capita di discendere nelle viscere medievali della cinquecentesca Rocca Paolina in scala mobile, un sistema oggi sfruttato ogni giorno da centinaio di perugini, che usano spostarsi così attraverso la città, oltrepassando il dislivello naturale tra lo storico colle Landone e la valle sottostante.

Il comune di Perugia iniziò il restauro della Rocca nel 1931, ricominciando in parte la via Bagliona e la zona delle due Cannoniere, adoperate per feste e balli dai perugini. Nel 1963 cominciarono i lavori terminati nel 1983 con la riapertura di tutto il percorso sotterraneo e l'inaugurazione delle scale mobili.
Percorrere i ruderi della Rocca Paolina e quel che rimane delle realizzazioni medievali in essa inglobate è un'esperienza attraente e unica, non foss’altro per le dimensioni del complesso sotterrato e per la spoglia essenzialità dei luoghi. Lungo la prima rampa di scale mobili in partenza da piazza dei Partigiani s’incontrano, sulla sinistra, i resti dello sferisterio ottocentesco per il gioco del pallone.

La via Bagliona la spina dorsale del quartiere medievale assorbito nella Rocca da Antonio da Sangallo il Giovane. Accompagnata dalle mura abitazioni, dà accesso alle due cannoniere dove sopravvivono le feritoie destinate ai cannoni di Paolo III. Nella prima, al centro del soffitto, si nota una botola dalia quale venivano calati dal piano sovrastante viveri e munizioni. Dal locale, un breve passaggio sotterraneo porta a un pozzo già esistente mentre i due locali vicini agivano come serbatoi d'acqua.
Il largo corridoio seguente doveva dare accessibilità, nel progetto del Sangallo, alla piazza d’armi, ma non fu mai compiuto. Ritornando sulla via Bagliona e discendendo lungo il suo tracciato, si incontrano prima il bel portale a sesto acuto di una casa medievale, poi i resti di uno dei locali destinati alle vedette della Rocca. Il grossi blocchi di travertino inseriti nella muratura sono invece gli stipiti originali dell'etrusca che secondo il Sangallo doveva restare qui, ma che nella modificazione progettuale seguita alla visita di Paolo III venne scomposta e riedificata assorbendola sul bastione orientale, dov'è ancora adesso è visibile con il suo arco.
Retrocessi sulla via Bagliona s’incontra la torre dell'isolato di Gentile Baglioni, con resti della struttura etrusca sottostante; quindi, scendendo alcuni scalini, si entra in un Fondaco delle case dei Baglioni: importante, alle pareti, la stratigrafia e le murature etrusche e medievali seguenti, con tracce delle finestre e delle porte.

La via dei Sellari, detta anche "alla piazzetta dei Baglioni" perché vi portava, è fiancheggiata sulla sinistra dalle abitazioni dell'isolato di Braccio e Ridoffio Baglioni. Dopo averla percorsa fino in fondo due porte a ogiva segnalano la presenza di un edificio stesso isolato con tre incavi interni variamente identificali come lavatoi o servizi igienici. Ritornando sulla via Bagliona si ferma, sulla destra, un forno che apparteneva a una delle torri della casa di Braccio Baglioni.

Via dei Servi è contraddistinta dalla cosiddetta casa di Malatesta, che accanto alla porta maggiore ne ha un'altra, lievemente più piccola: si tratta della porta del morto che, secondo una leggenda. veniva adoperata solo in occasione di funerali e murata non appena la salma era uscita di casa per impedire che l'anima rientrasse.
All'interno, oltre a un lavatoio del XVsecolo si può osservare la tipica pianta del fondaco, locale al piano terreno di un edificio signorile che veniva dato in affitto ad artigiani e mercanti perché vi svolgessero le loro attività. Proseguendo fino in fondo alla via, si giunge al Centro espositivo della Provincia di Perugia, che corrisponde in parte con la trasformazione ottocentesca della Rocca in caserma. Di qui, attraverso due scale, ci si trova tra ambienti un tempo sporti sul cortile della casa di Braccio Baglioni, mentre a sinistra i locali antichi, molto modificati per adattarli a sostruzioni, sono di difficile lettura.
Continuando, ci si trova all'ingresso di un ambiente a pianta quadrangolare con massicci archi che sostituiva da seminterrato per il mastio alla fortezza, dopo sangallesca.
Segue, sullo stesso lato, un locale che mantiene le tracce del grande scalone d'onore della Rocca, progettato da Galeazzo Alesai.
Via dei Sellari mostra i punti di imposta di diversi archi; il locale a destra era della casa di Braccio Baglioni, con tracce di caminetto e di finestre. Ai piedi dell'ultima rampa di scale mobili, che Conduce ai portici del palazzo della Provincia, un passaggio medievale sotto la chiesa di S. Paolo portava agli orti di un di Cesco Porchio.

Il pozzo etrusco era la principale fonte di rifornimento idrico per la Perugia di epoca etrusca, fu costruito, secondo ipotesi recenti, nei III secolo a.C., assieme all'ultimo tratto della cinta muraria, scavando dritto nella roccia locale e foderando la parte superiore del condotto con blocchi di Travertino. Detto anche pozzo Sorbello, dal fatto di provarsi nei sotterranei dell'attuale palazzo Bourbon-Sorbcllo, arriva i 36 metri di profondità.

L'ipogeo dei Volumni è la sepoltura più nota dell'estesa necropoli etrusca del Palazzone, così chiamata dalla presenza di una grande dimora della famiglia Baglioni, padrona dei terreni al momento della scoperta. Tornato alla luce nel 1840, è formato da una grande tomca a camera appartenuta, in età ellenistica alla potente famiglia etrusca dei Velimna ed è costruita sul modello di una ricca abitazione romana, con atrium, cubicula e tablinum.
All’ipogeo si entra mediante una ripide scala moderna che dà accesso all’atrium, con tetto a spiovente e due frontoni scolpiti.
Nel tablinum, oltre ai serpenti fittili affissi alle pareti, comuni alle altre stanze, resta una protome di Medusa scolpita sul soffitto a volta. Sopra il letto funebre, sono visibili sette urne cinerarie, sei delle quali in travertino stuccato e una in marmo. L'urna maggiore, del capostipite conserva l'immagine del defunto su un letto con basamento affiancato da due demoni. 'fra le urne minori.

L'ipogeo di S. Manno è la cripta della chiesetta trecentesca da cui prende il nome. Per entrare si scende nel sottosuolo dell'edificio sacro, fra tracce di affreschi duecenteschi e paramenti. La camera ipogea, con bella volta, è vestita di blocchi di pietra, e sulle due pareti più lunghe si dischiudono altrettante celle dove si trovano le urne funerarie della famiglia Precu.

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