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Chiese a Venezia

S. Stefano.
È una tra le più rilevanti chiese gotiche di Venezia, fondata dagli Eremitani Agostiniani alla fine del  '200 e finita nelle forme eleganti del gotico quattrocentesco, che guidò anche lo splendido portale, forse opera di Bartolomeo Bon. Grandiose le proporzioni delle interne, privo di transetto, con le tre navate coperte da uno stupendo soffitto in legno a carena di nave e le pareti abbellite da motivi a losanghe  ripresi dal Palazzo Ducale; come d'abitudine nelle grandi chiese gotiche, vi sono sistemati diversi monumenti funebri.
La sagrestia contiene tre grandi tele di Jacopo Tintoretto e una tavola dipinta nel 1318 da Paolo Veneziano; sulle pareti ai lati dell'altare si ammira un S. Pietro, e un S. Lorenzo già compreso in un polittico di Bartolomeo Vivarini.
Il presbiterio, sopraelevato per lasciare spazio alla cripta, termina in una grande abside poligonale e riceve un imponente altare maggiore con ciborio. Due sono i chiostri adiacenti al tempia quello attribuito all'architetto Antonio Scarpagnino presenta un portico a colonne ioniche, mentre nell'altro, trecentesco, meritano attenzione gli architravi in legno.

S. Nicolò da Tolentino.
Questa chiesa ideata e iniziata da Vincenzo Scamozzi cui si deve l’imponente interno a croce latina d'ispirazione palladiana, fu portata a compimento nel 1602 dagli stessi committenti, i padri Teatini. Il pronao corinzio sulla facciata, incompiuta, venne unito da Andrea Tirali. Un ricco apparato di stucchi abbellisce l'aula interna, che conserva tele di Palma il Giovane, Sante Veranda, Luca Giordano del tedesco Johanni Liss e di Bernardo Strozzi; l’enorme altare maggiore è di Baldassarre Longhena, forse il massimo esponente della scultura seicentesca veneziana.

S. Maria Gloriosa dei Frari.
È annunciata dalla poderosa mole del campanile, uno tra i più alti della Serenissima. Al posto della chiesa francescana innalzata nell’200, fu innalzato a partire dal 1340 l'edificio odierno, severo e enorme, terminato più di un secolo dopo. Un portale in stile gotico fiorito introduce il solenne interno a tre navate, lignee. Chiude la navata centrale il coro dei Frati:le sette cappelle nel transetto erano legate a confraternite o famiglie cittadine.
Se l'Assunta di Tiziano all'altare maggiore, dipinta tra il 1516 e il 1518, è l'opera più commemorata del complesso, uguale attenzione meritano capolavori come il trittico di Giovanni Bellini, S. Giovanni Battista in legno di Donatello, conservato nella cappella Fiorentini, e la pala Madonna di Ca' Pesaro, anche questa a firma di Tiziano, che festeggia le imprese del vescovo Jacopo Pesaro nella lotta contro i Turchi. Le spoglie dell'artista cadorino riposano, secondo la tradizione, là dove nell'800 fu innalzato il suo monumento funebre. Degni di nota anche il prospetto marmoreo con l'urna del doge Niccolò Tron alla parete sinistra del presbiterio, cui esercitò il veronese Antonio Rizzo la tomba del compositore Claudio Monteverdi nella cappella dei Milanesi e la colossale macchina macabra di Baldassarre Longhena per il doge Giovanni Pesaro, presso la porta laterale della navata sinistra: senza scordare la piramide funebre ad Antonio Canova, innalzata su disegno del maestro di Possagno.

I Gesuati.

Questo tempio è il frutto dell'impegno economico di tutta la città: la chiesa, intitolata a S. Maria del Rosario, fu infatti innalzata nel 1724-36 con le offerte delle Arti e delle Confraternite, per iniziativa dei Domenicani sostituiti al soppresso ordine dei Gesuiti. Il progetto fu dato a Giorgio Massari, che rivisitò nei volumi esterni, i modelli stilistici palladiana, serrando la navata interna con un luminoso vano absidale a pianta ellissoidale. Scandiscono le pareti statue e bassorilievi di Giovanni Maria Morlaiter, mentre le cappelle laterali contengono preziose tele di Giovam­battista Tiepolo  e Giovanni Battista Piazzetta; si devono al Tiepolo anche gli affreschi sul soffitto.
Alla chiesa è annesso l'ex monastero dei Gesuati, in parte rinascimentale e in parte settecentesco.

La chiesa dei Carmini.
La pianta basilicale risale al XIV secolo, così come il bel portale sul fianco sinistro, con protiro adorno di elementi bizantini; la sopraelevazione della navata centrale, le absidi ancora gotiche e la facciata in stile già rinascimentale testimoniano invece l’ampliamento del 1515, diretto da Sebastiano da Lugano. L'interno del tempio vede le essenziali forme dell'edificio originario accostate nella navata centrale a una ricca decorazione sei-settecentesca, senza però alterare il riuscito effetto prospettico in direzione dell'abside. Nel patrimonio d'opere d'arte spiccano la pala Adorazione con le Ss. Elena e Caterina, Tobiolo e l'angelo custode di Cima da Conegliano, il bassorilievo in bronzo di Francesco di Giorgio, fatto intorno al 1474, e S. Nicola tra S. Giovanni Battista, S. Lucia e angeli nera di Lorenzo Lotto.

Scuola Grande dei Carmini.
La confraternita della Vergine del Carmelo, Ondata nel 1594, divenne tra le più potenti di Venezia tanto da contare, nel 1675, ben 75 mila consociati su una popolazione urbana men che doppia. L'edificio per il quale si ipotizza un intervento ideato di Baldassarre Longhena, fu compiuto nel 1668. L'apparato decorativo interno enumera ricchi arredi lignei e nove dipinti di Giambattista Tiepolo.

Gli Scalzi.

intitolata a S. Maria di Nazareth, la chiesa fu innalzata su progetto del Longhena per una comunità di Carmelitani Scalzi qui trasferitasi da Roma: vista l'origine dei committenti, non sorprende che impianto e sfarzo decorativo rimandino ai modi del barocco capitolino. Dietro la facciata, organizzata da Giuseppe Sardi secondo un doppio ordine di colonne binate intramezzate da nicchie con statue, si apre così agli occhi del turista un autentico trionfo di marmi policromi, sculture e dorature. Oltre alle ceneri di Ludovico Manin meritano attenzione gli affreschi del Tiepolo sulle volte della seconda cappella destra e della prima cappella sinistra; il maestro aveva conseguito anche l’enorme ciclo pittorico della volta absidale, demolito dall'artiglieria austriaca nel 1915.

I Gesuiti.

L'originaria chiesa dei Crociferi, passata nel 1657 alla Compagnia di Gesù, venne ricostruita tra il 1715 e il 1730 da Domenico Rossi, secondo i canoni cari all'ordine: basti osservare la monumentale facciata barocca, mossa dal gioco plastico della trabeazione coronata da statue e dal marcato chiaroscuro delle imponenti colonne corinzie. L'eccezionalità della realizzazione sta però nello lussuoso palinsesto decorativo interno, che frantuma il grande spazio della navata ricoprendone qualsiasi superficie: dagli intarsi in marino bianco e verde su pilastri e colonne che simulano una tappezzeria damascata, agli stucchi bianchi e oro della volta, senza scordare le decorazioni in marmo bianco e nero del pavimento. A impreziosire l'insieme concorrono importanti opere pittoriche, come l'Assunta del Tintoretto e il Martirio di S. Lorenzo di Tiziano.

La Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo.

Dal secondo '400, i solenni funerali dei dogi ebbero come scenario questo tempio innalzato fra il 1246 e il 1430 dai Domenicani, da considerarsi insieme a S. Maria Gloriosa dei Frari la più alta espressione del gotico veneziano. L'imponente facciata in cotto, scandita nella parte inferiore da profonde arcate cieche, è aperta da un portale ogivale su colonne, opera di Bartolomeo Bon.
Sul fianco destro spiccano i volumi sporgenti delle cappelle laterali; splendenti le absidi poligonali, con lunghi finestroni trilobati. L'interno, sconcertante per la vastità delle dimensioni è ripartito da pilastri cilindrici in tre navate, con cinque cappelle absidali aperte sul transetto. Alle pareti si conseguono molteplici sepolcri, alcuni i quali di straordinario valore autistico. È il caso del monumento al doge Pietro Mocenigo, in controfacciata, opera di Pietro Lombardo, cui si deve anche, insieme al figlio Tullio, quello al doge Andrea Vendramin sulla parete sinistra del presbiterio; le statue del vicino monumento al doge Marco Corner, risalente al secolo precedente, sono di Giovanni Pisano. Lungo la navata sinistra si indicano i monumenti al doge Tomaso Mocenigo, di scuola toscana, e al doge Nicolò Marcello, anche questo a firma di Pietro Lombardo.
Tra i dipinti mantenuti nel tempio, notare il polittico S. Vincenzo Ferreri opera giovanile di Giovanni Bellini; sul soffitto intagliato e dorato della cappella di S. Domenico si osserva una bellissima Gloria di S. Domenico, affrescata tra il 1725 e il 1727 dal Piazzetta. Degne di nota anche le vetrate con figure di santi del finestrone del transetto destro, che contiene una pala di Lorenzo Lotto, e principalmente le bellissime tele del Veronese ordinate nella cappella del Rosario, alla quale si accede attraverso il transetto sinistro.

S. Francesco della Vigna
L’appellativo ricorda il vigneto su cui sorse nel 1300 la chiesa gotica dei Francescani, su disegno di Marino da Pisa. Nel 1534 ne fu avviata la riedificazione, affidando, la direzione dei lavori a Jacopo Sansovino. Il cantiere passò poi al Palladio, cui si deve l’enorme facciata. Sul retro s'innalza il campnile cuspidato, molto simile a quello di S. Marco. L'interno, a croce latina con navata unica e profondo presbiterio, rivela la mano del Sansovino, ispiratosi a modelli toscani. Nella terza cappella destra si osserva la Vergine in gloria, e santi di Palma il Giovane; la bella Madonna in trono adorante il Bambino e angeli glorificanti riconducibile intorno al 1470, è del pittore veneto fra' Antonio da Negroponte. A sinistra del presbiterio, la Capella Giustiniani contiene un prezioso ciclo di sculture eseguito da Pietro Lombardo e dalla sua scuola; notevoli anche la Madonna con il Bambino e santi di Giovanni Bellini, nella Cappella santa, cui si entra dal transetto sinistro, e le due tele del Veronese.